— | Sándor Marái, “Il gabbiano” |
di Kirsebær - Le stelle stavan tutte sedute, bimbe nude, dondolando senza fine nell’azzurro le gambe, in fila sopra il margine dei cieli.
giovedì 31 maggio 2012
“Il dolore è passato. La vita lo ha trasformato in
qualcos’altro; dopo averlo provato, dopo aver singhiozzato, lo si
nasconde agli occhi del mondo come una mummia da custodire nel
padiglione funerario dei ricordi. Passa anche il dolore provocato
dall’amore, non credere. Rimane il lutto, una specie di cerimonia
ufficiale della memoria. Il dolore era altro: era urlo animalesco, anche
quando stava in silenzio. È così che urlano le bestie selvatiche quando
non comprendono qualcosa nel mondo – la luce delle stelle o gli odori
estranei – e cominciano ad avere paura e ululare. Il lutto è già un dare
senso, una ragione e una pratica. Ma il dolore un giorno si trasforma,
la vanità e il risentimento insiti nella mancanza si prosciugano al
fuoco purgatoriale della sofferenza, e rimane il ricordo, che può essere
maneggiato, addomesticato, riposto da qualche parte. È quel che accade
ad ogni idea e passione umane”
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